Quando supera il livello di guardia, il dolore è muto

AAA Audio disponibile1

Ci sono argini che non si possono spostare o togliere senza conseguenze. Ce n’è uno particolarmente significativo: quello tra l’infanzia protetta e l’adultità protettrice, ormai caduto sotto i colpi invisibili e silenziosi della smartphonizzazione dell’infanzia.

AAA Ascolta larticolo

Dialogando con educatori, famiglie e insegnanti, si comprende che qualcosa si è rotto nella relazione generazionale. Non siamo di fronte a una semplice anticipazione della maturità nei più piccoli, ma a una rottura strutturale dell’infanzia stessa, divenuta soggetto attivo del mercato, capace di influenzare anche l'80% delle decisioni d’acquisto familiari, attraverso un’offerta continua che non appare come pubblicitaria: giochi, influencer coetanei, mode digitali, contenuti musicali o video generati all’interno di un sistema adulto.

Tutto questo è guidato da algoritmi che analizzano comportamenti e suggeriscono nuovi desideri. Non si tratta di un uso “neutro” della tecnologia: smartphone e tablet abilitano principalmente l’accesso al sistema dei social network e sono strumenti attivi, progettati per trattenere, modellare l’attenzione e generare profitto. Così, nel feed di un bambino smartphonizzato può scorrere, senza filtri, lo stesso contenuto che vedrebbe un trentenne: dai videoclip musicali alle ultime dichiarazioni della star di turno, fino al post di un modello o una modella che magari su altre piattaforme offre servizi vietati ai minori.

Si è ritirato l’adulto normante, il custode — per dirla con Postman — della distinzione tra ciò che un bambino può o non può sapere, vedere, vivere. Lì dove l’adulto normante viene meno, crescono i surrogati mediali: influencer, gamer, artisti, che diventano potentissimi modelli, diventano valore-per-sé, non per l’infanzia, che non custodiscono né possono farlo. Scavalcando il mondo educante, i bambini entrano così in un mondo dove vige una morale quantitativa, in cui non è più bene ciò che è buono, ma ciò che ottiene visibilità, like, follower, condivisioni. È una morale pre-morale: nel senso che precede il giudizio etico e prevale su altri codici.

La costruzione di un futuro diverso parte da una prima, basilare domanda, che non è come possiamo custodire l'infanzia; né dobbiamo chiederci come possiamo cambiare qualcosa perché il danno non sia troppo grande. Direi piuttosto che la domanda-prima sia questa: vogliamo davvero un mondo in cui ci sia ancora l'infanzia? Perché in questo mondo serve tempo, resilienza, capacità di superare le frustrazioni, di andare controcorrente, di creare alleanze familiari. In altre parole: è un mondo, quello in cui c'è ancora l'infanzia, in cui serve tempo, tanto tempo personale, non delegabile, se non parzialmente, alla scuola o alle altre comunità educanti.

Le statistiche ci dicono invece che dell'infanzia protetta interessa sempre a meno persone. Secondo i dati diffusi da Save the Children in occasione del lancio della campagna sull’Educazione Digitale, «in Italia circa un bambino su tre tra i 6 e i 10 anni (il 32,6%) usa lo smartphone tutti i giorni, una tendenza in costante aumento negli ultimi anni (nel 2018-2019 erano il 18,4%), con una netta prevalenza al Sud e nelle Isole, dove la quota sale al 44,4%». Se, in età legalmente vietata, «il 62,3% dei preadolescenti (11-13 anni), oltre tre su cinque, ha almeno un account social: il 35,5% ne ha uno su più social e un ulteriore 26,8% soltanto uno». Se, secondo una ricerca del Centro per la salute del bambino Onlus di Trieste, assieme all'Associazione culturale pediatri e ripresa da Il Corriere, il 30,7% degli intervistati «ha dichiarato di lasciare qualche volta, o spesso, il cellulare in mano al figlio prima dei 12 mesi (...) e si stabilizza intorno al 60% nella fascia di età 12-24 mesi», quando invece dovrebbe essere un'età a schermo-zero, secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

L’infanzia, in quanto tempo protetto e progressivo della formazione, è diventata culturalmente e funzionalmente incompatibile con un sistema che premia la connessione continua, la visibilità immediata e la monetizzazione dell’attenzione. Nei social, per dirla in breve, l'infanzia non è un bene o un diritto da custodire, ma un ostacolo da superare o una condizione da negare.


Marco Brusati
Contatti
Foto gratuita di TheOtherKev
Licenza Pixabay