La primavera è tempo di prime comunioni e, con la prima comunione, non di rado arriva in regalo uno smartphone, la cui consegna rappresenta ormai un rito di iniziazione.
Un decennio prima di poter votare o guidare un'auto, i bambini diventano medialmente adulti con ampie, talvolta estreme, autonomie gestionali e decisionali, che presto escono non solo dal controllo, ma persino dalla conoscenza dell'adulto-educante.
Non è un caso: i mercanti digitali hanno bisogno anche dei bambini, che arrivano a influenzare persino l'80% delle decisioni familiari, dai vestiti ai ristoranti, dallo streaming alla cosmetica, dalle vacanze ai giochi: l’attenzione dei bambini è una risorsa preziosissima e captarla diventa essenziale per la visione mercatistica che domina le comunità di rete. In questa realtà distorsiva vengono immersi i bambini smartphonizzati, la cui attenzione è ingegnerizzata attraverso metodiche tecnologiche classiche come le notifiche e l'autoplay dei video, psico-sociali come il F.O.M.O. (Fear Of Missing Out), ovvero la paura di "rimanere fuori" e che spinge a rimanere attaccati ad uno smartphone per non perdersi nulla. Attore protagonista della cattura dell'attenzione (captatio attentionis) è l'uso applicativo dell'Intelligenza Artificiale che agisce negli smartphone messi, come un innocuo cavalluccio a dondolo, nelle mani di bambini, e di cui si potrebbe parlare di più nei convegni che si susseguono in questo periodo: sono gli algoritmi di raccomandazione che apprendono dai dati (es. i comportamenti degli utenti, la cronologia degli acquisti o le visualizzazioni), predicono preferenze future, si adattano nel tempo, migliorando le raccomandazioni man mano che ricevono nuovi dati. E creano bolle infinite di desiderata sempre più articolati, coccolati e parimenti impossibili da soddisfare.
Di fronte a questo scenario, è necessario portare la riflessione a una profondità scomoda, forse buia: un ecosistema algoritmico che apprende ciò che hai fatto, lo rende legge, lo amplifica e te lo ripropone come desiderio mai pienamente soddisfatto si scontra con la distinzione tra la persona e le sue azioni, tra peccatore e peccato, tra ciò che sei stato e ciò che puoi essere; si scontra cioè con un principio-cardine di ogni processo educante, strutturato o informale. E ancora: la profilazione avanzata per finalità promozionali cui si è medialmente sottoposti e l'aggregazione del nostro 'io-profilato" con altre persone per età, stili, linguaggio, orari di accesso, contatti e via dicendo contraddice un altro principio-cardine antropologico su cui, poi, si basa l'educazione: la persona è unica ed irripetibile, non un soggetto replicabile e sostituibile con altri 'analoghi' con i medesimi comportamenti.
Da questa riduzione numerica della persona umana derivano le problematiche legate all'esposizione precoce alla medialità, su cui ora ci stiamo concentrando, senza ignorare la complessità della questione anche per il mondo giovanile o adulto; ma se non si agisce per arginare questa vision si rischia di vedere solo il dito anziché la luna, tentando magari di umanizzare l'algoritmo, quello che, ad esempio e giustamente (!), rifiuta di fornire una risposta su come suicidarsi, ma sorvolando sull'azione di altri algoritmi che strutturalmente, ontologicamente, necessariamente negano la struttura e la natura stessa della persona umana.
Ed è da qui che la sfida ecclesiale può partire, da questo livello di profondità. Perché l'uomo-macchina della Prima e Seconda Rivoluzione Industriale ha come erede l'uomo-numero, il cui "sfruttamento", che inizia già dall'infanzia, è una forma avanzata di quello descritto nelle fabbriche di Dickens. Ed è questione tutta da risolvere. Alla radice.
Marco Brusati
Contatti
Foto gratuita di Ron Lach
Licenza Pexels