Di Geolier all'Università di Napoli si è detto molto: il Procuratore Capo Nicola Gratteri ha speso parole di fuoco contro l'iniziativa: «queste cose lasciano senza parole, se molla l'università siamo alla fine».

Il Magnifico Rettore Matteo Lorito si è appellato al confronto: «invitiamo Geolier in ateneo perchè si confronti con tanti giovani come lui», mentre il Sindaco Gaetano Manfredi che si è congratulato per l'affermazione sanremese del concittadino: «abbiamo il piacere di ringraziarti e di darti un incarico: quello di mandare un messaggio positivo con la tua musica» [cf. Repubblica].

La consueta premessa è d'obbligo: non si parla né si intende giudicare l'artista-persona, ma si prende spunto da una storia per leggere una realtà più ampia del singolo caso. Detto questo, va messa subito sul tavolo la parola-chiave: successo.

Nella società mediale e  smartphonizzata, i like, il numero di followers e di views sono divenuti criterio privilegiato per valutare il bene e il male: è venuta affermandosi così una nuova morale quantitativa. Ciò non significa sia venuta meno la distinzione tra bene e male, anzi: diventano 'bene' quelle 'cose' che hanno successo.

Che la morale quantitativa si stia problematicamente consolidando anche a livello istituzionale ed educativo, è evidenziato dalle voci sempre più flebili che si chiedono a cosa sia dovuto il successo, a quale progetto, a quali contenuti, peraltro voci sempre più contrastate ed in ritiro strategico dall'agone Social. 

Alla luce della morale quantitativa, Madre Teresa vale meno di chi diffonde video in cui si flirta con pistole, droga e violenza. Chi opera d'urgenza nel cuore della notte un infartuato vale meno di chi canta che con i soldi della droga ha comprato una pistola (non è Geolier). Chi si guadagna il pane onestamente uscendo di casa alla sette di mattina vale nulla rispetto a chi sta strizzando l'occhio a suo figlio adolescente, magari raccontando che i soldi te li puoi portare a casa più da furbo, magari vedendo tra amici qualche sostanza.

Solo per inciso va detto che il successo può essere indotto dall'alto, dal momento che pochissimi soggetti globali hanno a disposizione miliardi di connessioni, nelle quali sono padroni assoluti di decidere cosa, chi, come, dove, quando, quanto e perché deve arrivare, per esempio, tra le prime proposte negli smartphone dei giovanissimi.

La morale quantitativa sta producendo disastri sociali, perché alla fine il successo, che è divenuto 'il bene', viene cercato in ogni modo: con le supercar a noleggio che sfrecciano a tutta velocità per fare video con tante views sui Social; con l'esposizione del corpo in atteggiamenti impropri a 13 anni, perché così si hanno tanti like, nonostante sia una prigione da cui non si esce, perché in rete è per sempre e via dicendo. Da qui, possiamo tentare di leggere anche gli atti di bullismo e violenza online: per esempio, se il numero di views diventa il bene, riprendere un'angheria su un anziano, un homeless o una persona con difficoltà diventa strumentale alla catena del bene-ultimo, cioè le views, passando dall'essere un male, ad essere un meno-male, un quasi-bene, infine persino un bene-per-me.

Per uscire dalla gabbia in cui ci siamo messi, per iniziare a rialzare la schiena calpestata dai nostri stessi silenzi,  è necessario imparare a fare epochè con il successo, metterlo cioè tra parentesi quando si è di fronte ad una proposta mediale, che sia artistica, un videogioco, una fiction, l'attività di un(') influencer.

In ambito formativo ed educativo - e nelle scuole, a partire dalla primaria- questo significa allenare la ragione docente e discente, formare la capacità di giudizio alla luce del bene comune, crescere nelle abilità umane che favoriscono la tenuta sociale. In sintesi: significa poter scegliere, significa mantenere un livello minimo di libertà, da conquistare con sempre più fatica, ma che rappresenta l'essenza del pienamente umano.


Marco Brusati
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