In silenzio si pensa meglio

In questi giorni di sconvolgimenti terribili, di violenza e guerra, il mondo educante si è mobilitato in diversa forma per dire 'pace' e 'no alla guerra'.

Naturalmente questo è un segno importante, perché la pace è un bene preziosissimo per chi, come noi Europei, l'ha vissuta grazie al sacrificio di milioni di persone, da non dimenticare, mai. 

Esiste però un mondo, passatemi il termine, parallelo, in cui il mondo educante stenta a mettere dentro il naso ed è quello dei Social: mentre giustamente si dice 'pace', nello stesso momento e in quest'altro mondo hanno agile diffusione messaggi che indulgono sulla violenza nelle relazioni quotidiane.

Come il Tik Tok di un ragazzo che si presenta così: «Vaf**lo il sesso, andiamo a farci un giro al cimitero, così ti faccio vedere dove finisci se mi abbandoni e mi fai del male».

Parole che fanno rabbrividire in sé, ma che stridono come il gesso sulla lavagna al pensiero che siano normalizzate e, al massimo, lette come una ragazzata, mentre vanno prese terribilmente sul serio, per sul serio vanno terribilmente presi i giovanissimi, perché è dalla serietà con cui li trattiamo che costruiranno la loro identità. Il fatto è che quando incontriamo i giovanissimi e a partire dall'infanzia, dobbiamo (dico dobbiamo!) conoscere chi sono i loro amici digitali (influencer, cantanti ecc.) e cosa fanno (giochi, social ecc.); senza questa conoscenza non ci può essere relazione educante.

Crediamo davvero che possa esistere senza conseguenza un 'mondo parallelo' in cui i giovanissimi vivono allegramente valori antitetici a quelli insegnati? Far finta di niente, ignorare, o banalizzare rischia di vanificare gli sforzi per costruire quel mondo giusto e in pace di cui oggi si sente tanto la mancanza.


© Marco Brusati
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