Cosa si intende per società pornografizzata in cui stanno crescendo le nuove generazioni a partire dall'infanzia? Anzitutto: che cos’è la pornografizzazione? Possiamo cominciare definendola a partire da ciò che non è.
Non è pornografia. La pornografia è contenuto sessuale esplicito, legalmente vietato ai minori (art. 528 c.p. e art. 14 L. 223/90). È pensata per adulti e, almeno formalmente, resta fuori dalla portata dei bambini, anche se sappiamo quanto questa protezione sia ormai fragile nella medialità attuale.
Non è nemmeno l’accesso dei minori a contenuti pornografici, spesso accidentale e attraverso smartphone non protetti. Questo è certamente un fatto grave, documentato da autori con background diversi come Peter Kleponis e Gail Dines che evidenziano come un'esposizione precoce a contenuti pornografici possa distorcere profondamente lo sviluppo psicosessuale del minore, alimentare comportamenti disfunzionali e deformare l’immagine della relazione affettiva. Eppure, la pornografizzazione non è nemmeno questo, ma lo precede come guida quasi invisibile.
Cos'è allora? La pornografizzazione è quel processo che, rompendo l’argine simbolico tra infanzia ed età adulta, espone anche i bambini a contenuti sessualmente-non-neutri, non necessariamente pornografici, ma strutturati per sedurre, attirare, monetizzare l'attenzione. È la seduzione che si trasferisce in ambienti ritenuti accessibili, sicuri, culturalmente innocui.
La pornografizzazione si è consolidata come modalità culturale, che vive alla luce del giorno, nei linguaggi, nei codici, anche negli stili dell’intrattenimento mainstream: a partire da canzoni e videoclip musicali, che non si possono formalmente definire pornografici, ma che partecipano a un percorso di erotizzazione normalizzata; passa nei palinsesti pomeridiani, quando i bambini sono in compagnia dei nonni o nelle interviste, dove la domanda sulle abitudini sessuali è un must, come se riguardasse un dato biografico elementare e non qualcosa che esige pudore, discernimento, rispetto; passa nei Social dove, pur essendo formalmente vietato, modelle/i per adulti promuovono la loro attività vietata ai minori mantenendosi nei limiti delle linee guida dei Social aperti ai minori: così, usando un linguaggio verbale e non-verbale allusivo e non troppo esplicito, superano i controlli degli algoritmi e diffondono il loro messaggio.
In questo contesto, si può attivare un meccanismo di assuefazione, con la ricerca del «sempre più e sempre prima»: e, come già scriveva Neil Postman, così scompare l’infanzia, non perché scompaiono i bambini, «ma perché è venuto meno il segreto degli adulti, ciò che li distingueva». «L’infanzia scompare quando gli adulti non trovano più necessario distinguere ciò che un bambino può sapere e ciò che non può, ciò che può fare e ciò che non deve». Distinzione da custodire e, semmai, da riconquistare; una sfida urgente, prioritaria, anche per la Chiesa; una nuova normalità da denormalizzare.
Marco Brusati
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